Sardegna, acque termali al profumo di mirto

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di Grazia Garlando
La strada che dall’aeroporto di Cagliari sale verso Oristano insinuandosi nel cuore della Sardegna è costeggiata da fichi d’India e canneti, e puntellata di pecore che pascolano placidamente. Questa non è l’isola glamour delle lussuose estati vip. E neppure quella delle spiagge bianche e delle acque cristalline che non hanno nulla da invidiare ai fiabeschi mari del Sud. E’ una Sardegna rurale e selvaggia che profuma di mirto e di agrumi, legatissima alla sua storia millenaria, alle sue tradizioni, ai prodotti della sua terra. Semplice e profondamente autentica.
sardegna acque termali 2Dopo un’ora e mezza di auto tra campagne e tornanti, è il fiume Tirso, il più lungo dell’intera isola con i suoi 152 km, a darmi il benvenuto a Fordongianus, un piccolissimo comune di 960 anime che sorge sui resti dell’antica città fortificata di Forum Traiani. Era un presidio militare posto in posizione strategica tra montagna e pianura, e dove gli antichi romani hanno lasciato tracce preziose della loro presenza. Prima tra tutte, l’imponente complesso termale in trachite (la pietra tipica locale) fatto costruire dall’imperatore Traiano nel 1° secolo d.C. per via della presenza di sorgenti benefiche d’acqua ipertermale che sgorgano a una temperatura di 50 gradi, come dimostrano le suggestive fumarole che si innalzano visibilissime a occhio nudo: sono le uniche terme curative edificate da loro in tutta la Sardegna. Si immergevano nella piscina, nel frigidarium e nel calidarium per curare reumatismi, malattie della pelle e affezioni delle vie respiratorie, inviando preghiere per la propria salute alle ninfe che in parte si possono ancora leggere incise sulle pietre del ninfeo, l’ambiente di culto a loro dedicato.
Passando tra i pochissimi resti degli affreschi marmorei sulle pareti e dei mosaici sui pavimenti, raggiungo la grande piazza pavimentata a lastroni e la scalinata che collegava le terme al centro abitato, dove ancora sono presenti tratti dell’antica strada, un anfiteatro (l’unico di epoca romana in tutta la Sardegna oltre a quello di Cagliari) e la chiesa di San Lussorio, che custodisce le spoglie del martire cristiano, oltre al maestoso ponte a sette archi che sovrasta il Tirso. E chissà quali altri tesori potrebbe ancora nascondere quest’area, dal momento che deve ancora essere scavata in buona parte…
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Non nasconde, invece, la splendida Casa Aragonese che troneggia nel cuore del paese, ex dimora nobiliare in stile gotico spagnolo con un grande porticato tipico dello stile costruttivo del centro Sardegna, che ancora conserva il camino, gli armadi a muro e gli antichi attrezzi da lavoro. Per il resto, c’è un solo market che vende praticamente un po’ di tutto, dai prodotti alimentari e per la casa, ai souvenir di sughero e ai gioielli di filigrana, tipiche creazioni artigianali locali. E tante casette basse tra cui regnano un silenzio e una tranquillità che, per un animale metropolitano come me, hanno dell’incredibile…
Ormai immersa nell’atmosfera benefica della zona, non posso che alloggiare nel quasi adiacente Sardegna Grand Hotel Terme, che utilizza ampiamente le acque termali per trattamenti terapeutici e wellness: tra tutti, il fango con bagno termale in vasca (perfetto per i dolori articolari e muscolari perché decontrae i muscoli e riattiva la circolazione), il massaggio subacqueo col getto d’acqua, e tanti trattamenti viso e corpo effettuati con una fresca linea cosmetica di produzione interna a base di acqua termale ed estratti di mirto ed elicriso, le piante locali. Tipiche almeno quanto i prodotti e i piatti che ha cucinato per cena l’abilissimo e creativo chef Alain Sedda: pane frattau, malloreddus, porceddu, pecorino e seadas, oltre a un’insuperabile lasagnetta di pane carasau con salsiccia e fregola che credo non dimenticherò per il resto della vita. Tutto innaffiato da diversi vini sardi, tra cui i tradizionali Cannonau, aspro e robusto come il carattere della sua gente, e Vermentino, più delicato. Del resto, in questo interno di Sardegna a soli 40 km dal mare ma dall’anima fortemente contadina fatta di terra e natura, di sapori e profumi, dove si mangia e si beve quello che si alleva e che si produce, la tradizione della tavola è irrinunciabile.
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Me ne rendo conto anche il giorno dopo, quando faccio visita a un’azienda agricola e fattoria didattica a conduzione familiare nel piccolo borgo di Tramatza, dove i limoni decorano i cigli delle strade e non esistono cestini per la spazzatura, per assicurarsi che la raccolta differenziata sia assolutamente precisa. Qui la signora Ester Orro, da molti definita artista del pane, è impegnata a lavorare minuziosamente la pasta del pane con i polpastrelli e con piccoli strumenti per produrre il cosiddetto su pani pintau, vale a dire pane decorato. Si tratta di un prodotto realizzato tradizionalmente in occasione di feste o celebrazioni liturgiche, come i matrimoni o la Pasqua, modellato in forma di raffinate bamboline, uova, ghirlande e quant’altro. Assaggio le conserve di olive, melanzane e carciofi e un’ottima Vernaccia, tutto di loro produzione. E mi rimetto in cammino.
sardegna acque termali 7Perché in questo itinerario di storia e tradizioni, non posso farmi mancare il simbolo per eccellenza del fascinoso passato isolano: i nuraghi, vale a dire le antichissime strutture in cui veniva amministrato il potere, poi trasformatesi col tempo anche in luoghi di culto e dimore. Alle soglie del comune di Abbasanta, il Nuraghe Losa mi compare davanti con i suoi maestosi 13 metri di altezza in pietra di basalto risalenti addirittura al 1000 a.C. E’ uno dei pochi dotati di una struttura complessa, composta da tre camere e tre torri che le sovrastano rispettivamente. Entro, e salgo attraverso i gradoni instabili di pietra fin sulla cima di quella più alta, che mi regala un panorama di campagne verdi e pecorelle bianche ignare di aggirarsi placidamente in un pezzo di preistoria. Terminata nel 238 a. C., quando, con la conquista dell’isola da parte dei Romani e l’inizio dell’età del ferro, la civiltà nuragica cessa di esistere. In realtà è ancora tutta lì. Simbolo di una Sardegna sanguigna e verace che non smette di ammaliare.

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