Nell’area più meridionale del Transdanubio, a sud di Pécs, si trova la bella regione vinicola di Villàny e Siklòs, nota per gli eccellenti vini rossi delle sue 14 località di produzione. La strada del vino Villàny-Siklòs vuole farne conoscere tradizioni e vita rurale attraverso la degustazione dei suoi vini e piatti tipici.
Diverse le tappe, ad iniziare da Palkonya, villaggio in fiore noto per le fitte file parallele di cantine del XIX secolo che coprono tutto il pendio della collina con piccole casette bianche addossate l’una all’altra.
A Villàny, dove la coltivazione della vite risale al tempo dei Celti, lungo i due lati della via principale si trovano graziose cantine d’epoca in cui degustare corposi vini rossi: il più noto è il Blu Portoghese.
Il villaggio di Villanykovesd ha conservato le antiche tradizioni di viticoltura e vinificazione: la sua doppia fila di cantine è una delle strutture più spettacolari del patrimonio architettonico ungherese, mentre Kisharsany è un tipico villaggio antico con file di cantine lungo la linea di confine dei territori di produzione di vini rossi e bianchi.
A Kistotfalu, poi, ai piedi delle colline Tenkes, si gode di un’aria particolarmente fresca e pulita.
Poi Vokany, villaggio la cui storia è strettamente legata all’antica Abbazia Benedettina della Trinità (1183), mentre Nagytotfalu vanta una bellissima casa settecentesca con portico, che oggi ospita un museo della scuola, dove sono custoditi anche oggetti di arte popolare e attrezzi della civiltà contadina.
La strada del vino si conclude a Siklòs, famosa per il suo pregiato bianco e per la sua fortezza a difesa della pianura della Drava.
Nel corso dell’anno numerose cantine organizzano eventi dedicati agli amanti del buon bere. Tra i più importanti:
1-3 ottobre: festa della vendemmia e del vino
primi di novembre: festa di San Martino
7 settembre 2020 – Quasi autunno, quasi tempo di tartufo. E già le papille gustative fermentano al solo pensiero di una spolverata del prezioso fungo ipogeo a impreziosire dal più semplice al più prelibato dei piatti.
Ma come sarebbe possibile godere della piacevolezza del cosiddetto “diamante del sottosuolo” senza l’indispensabile opera di cerca e cavatura pedissequamente condotta dai professionisti del settore con i loro insostituibili cani? Per questo è al vaglio a Parigi la candidatura della Cerca e cavatura del tartufo in Italia all’iscrizione nel Patrimonio culturale immateriale dell’umanità Unesco, promossa da Anct – Associazione Nazionale Città del Tartufo e da Fnati – Federazione nazionale delle associazioni tartufai italiani che riunisce circa cinquanta realtà del territorio nazionale, la cui approvazione, come spiega il presidente dell’Anct Michele Boscagli, “potrebbe rappresentare l’inizio di una grande opportunità, in quanto questa attività contiene in sé una miriade di valori culturali, etici e ambientali che, se messi a frutto attraverso progettualità, permetteranno la crescita della nostra comunità, dei nostri territori e di tutti i cittadini”. L’esito della candidatura è atteso entro la fine del prossimo anno, dunque c’è ancora tempo. Ma intanto tutte le realtà coinvolte, già impegnate nell’organizzazione dei tradizionali eventi autunnali dedicati alla promozione del tartufo e dei territori in cui cresce e si sviluppa, si sono date appuntamento a Campobasso in un grande summit appena concluso, organizzato dall’Anct e dalla Regione Molise per fare il punto della situazione, con immancabili degustazioni di sublimi piatti tematici come il risotto tartufi e funghi e i maccheroncini con crema di caciocavallo e tartufo.
Il Molise è infatti prodigo di tartufi di varie tipologie, dalla fascia costiera a quella montana, e dunque attivissimo non solo nella loro tutela e valorizzazione, ma anche nella salvaguardia di tutta la biodiversità del territorio: prova ne è, ad esempio, il Centro regionale per la ricerca e la produzione delle piante tartufigene, realizzato all’interno del vivaio forestale regionale ‘Selva del Campo’ di Campochiaro, centro micologico di altissimo livello e sempre più punto di riferimento dell’intero settore. Qui il video che racconta concretamente l’intera attività del tartufo nella regione, dalla cerca alla produzione delle piantine.
24dicembre 2012 – Vuole la tradizione che per pranzi e cene di Natale ogni regione proponga ricche tavole fatte di prodotti tipici locali. Ecco allora i consigli di Enoteca Italiana, il più antico Ente nazionale del vino, per le migliori eccellenze enologiche da abbinare alle tante e diverse specialità culinarie, dalle grandi firme a quelle con un ottimo rapporto qualità prezzo.
Il brindisi iniziale è per tutti, indistintamente, con bollicine italiane: uno Spumante “metodo classico” Franciacorta o Trento Doc, oppure quelle dell’Oltrepò Pavese a base di Pinot Nero, ma vanno benissimo anche i tanti spumanti tradizionali “metodo martinotti” con l’alfiere Prosecco.
Passando ai primi piatti, al nord i tortellini in brodo si accompagnano a un bianco fermo, morbido, oppure a una Bonarda o un Lambrusco emiliano, mentre quelli caratterizzati da sughi di carne o cacciagione a un Nebbiolo o Barbera piemontese, al Chianti o igt Toscani, ai siciliani Nero d’Avola e Cerasuolo Vittoria, ai pugliesi Primitivo di Manduria e Negroamaro, fino al Montepulciano d’Abruzzo, l’importante è che siano freschi, giovani e di gradazione media. Mentre i “culurgiones” di Sardegna, ravioli ripieni di patate e pecorino fatti a mano, si sposano con il bianco Nuragus di Cagliari o con il rosso Carignano del Sulcis.
Al sud solitamente il menù intero prevede pesce: si può iniziare con un Vermentino di Lunigiana, Sardegna o Toscana, anche se molto diversi fra loro, oppure con un Fiano di Avellino, una Falanghina campana, un Roero Arneis piemontese, un Verdicchiodi Jesi o un veneto come il Soave Superiore.
Per i secondi piatti, il tradizionale bollito è perfetto con una Barbera vivace o con un Lambrusco, mentre i crostacei con un Traminer aromatico dell’Alto Adige, meglio noto come Gewürztraminer, sostanzioso e opulento, e il pesce bianco cotto al sale o alla griglia con i vini del Friuli Venezia Giulia, come un Friulano del Collio o una Ribolla Gialla; di genere diverso i bianchi siciliani Grillo, Catarratto o Inzolia, e i campani Falanghina, Fiano di Avellino o Greco di Tufo.
In Toscana, con l’arrosto di faraona, anatra, fegatelli e cacciagione, un Chianti Classico Docg, oppure, sulla costa, un Morellino di Scansano o Bolgheri, mentre in Umbria un Torgiano o Sagrantino di Montefalco; gli umidi di cacciagione, come cinghiale, capriolo e lepre, richiedono vini ancora più strutturati e possenti con grado alcolico, e invecchiati: Barolo, Brunello di Montalcino, Amarone della Valpolicella, Vino Nobile di Montepulciano. O addirittura i numerosi vini monovitigno autoctoni: i bianchi Verdeca, Bombino, Pecorino Passerina, Grillo, Izolia, Trebbiano, Traminer, e i rossi Aglianico, Canaiolo, Colorino, Cannonau, Ciliegiolo, Gaglioppo, Fumin, Ruchè. Nel Lazio con il tradizionale capitone un rosso giovane dal gusto secco e sapido, come il ligure Rossese di Dolceacqua, ma anche un Circeo Rosso Doc o un bianco Moscato di Terracina secco; in alternativa, di tutt’altro genere, una Vernaccia di San Gimignano, il primo vino Doc a bacca bianca della storia italiana.
In Calabria, lo “stocco di Cittanova”, pesce con la “ghiotta” (sughetto di olio, cipolla, pomodori, olive, capperi e uvetta), è con un Cirò rosato locale. I grandi e versatili vini Rosati possono essere comunque abbinati con tutto, tanto che esistono nelle tipologie Spumante, Frizzante o Tranquillo, dal gusto fruttato e intenso; la Puglia ne ha tanti, come l’unica doc Rosato d’Italia, Castel del Monte, mentre gli altri sono prodotti con vari vitigni come Negroamaro, Uva di Troia, Montepulciano, Pinot Nero, Raboso, Sangiovese e Aglianico. E per il dessert, con panettone milanese e pandoro veneto un Asti spumante, un Moscato d’Asti o il meno conosciuto Moscadello di Montalcino; con panforte e ricciarelli senesi un autentico Vin Santo toscano, un Marsala siciliano o una Vernaccia liquorosa sarda; con le torte alla crema il Moscato di Pantelleria e di Noto, la Malvasia delle Lipari o lo Sciacchetrà delle Cinque Terre, e con quelle al cacao il veneto Recioto della Valpolicella o il Picolit friulano, perfetto anche con la pasticceria secca. Chicca finale, una tavoletta di cioccolato con Barolo chinato, Aleatico, o Refrontolo passito.
Prosit! E Buon Natale a tutti!